arte - il Giudizio Universale
Nel 1534, interrompendo le opere laurenziane, Michelangelo lascia Firenze, dove non tornerà più, e si reca a Roma per dipingere il Giudizio Universale nella parete di fondo della Cappella Sistina.
Morto nel settembre de quell'anno Clemente VII, il nuovo papa Paolo III gli conferma l'incarico,Intorno al 1536 il pittore inizia a tradurre i cartoni sul muro. Dopo quattro o cinque anni di lavoro pressoché solitario nel 1541 la grande parete era resa visibile al pubblico.
Qui i timori per l'immensità della superficie sono scomparsi; Michelangelo non ha più bisogno come nella volta di suddividerla in settori architettonici. Salvo una striscia di terreno arido in basso le quasi quattrocento figure campeggiano contro il cielo libero, senza riferimenti prospettici. Ancor più che altrove la pittura si identifica con un altorilievo, incentrato sulla figura di Cristo giudice, la cui inesorabilità è mitigata dalla presenza della Madonna dolcemente raccolta accanto a lui, advocata vostra, secondo la tradizione cattolica patrona e intermediaria.
Come Apollo nella giovanile Battaglia dei centauri, Cristo, ma con quale maggiore grandiosità e profondità, nell'emettere il suo giudizio inappellabile, imprime con il solo abbassare e alzare le braccia, un movimento all'intera composizione, ascendente a sinistra, discendente a destra, chiamando a sé, verso l'alto dei cieli, gli eletti e precipitando verso il basso dell'inferno i dannati; al tempo stesso, avvolgendosi su se stesso trasmette un'analoga rotazione a tutte le altre immagini, dalle più vicine alle più lontane, come Caronte che, dantescamente traghetta le anime peccatrici, battendo "con il remo qualunque si adagia.
Tutto questo assicura unità alle molteplici immagini, superando la critica di aver diviso la composizione in gruppi incomunicabili, i quali, solo apparentemente separati per ottenere una maggiore concentrazione, si collegano tra loro secondo un più intimo rapporto ritmico.
Alla grandiosità concettuale d'insieme, corrisponde la grandiosità etica delle singole figure, eletti o dannati senza differenze, perché gli uni e gli altri sono uomini, coscienti di sé, della propria condizione umana, nel momento supremo in cui si trovano alla presenza di Dio, assolti o condannati a suo giudizio. C'è qualcosa di protestane in questo : la grazia - come dice l'etimologia della parola - è gratuita; Dio solo la può concedere, a sua scelta, sola fide (solo fede) non come ricompensa per le azioni umane, non sottoponendosi a una specie di contratto con gli uomini operando in un modo o nell'altro ottengono il premio o la punizione. E' l'epoca della Riforma luterana gli inquietanti interrogativi del monaco tedesco non sono domande superficiali, quando la chiesa romana sotto Leone X era giunta a vendere l'indulgenza e quindi la salvazione a chi avesse offerto denaro per al costruzione della Basilica di San Pietro, mercanteggiando la grazia divina. Ed è l'epoca che precede di poco il Concilio di Trento e la controriforma con al quale la chiesa risponde alla Riforma riaffermando dogmaticamente la propria superiorità e infallibilità e reprimendo con energia ogni opposizione.
Il Giudizio Universale di Michelangelo, insieme all'entusiasmo di molti suscitò anche perplessità non certo per il valore artistico nè per i contenuti, quanto piuttosto per i nudi che apparvero scandalosi sopra l'altare del papa nella Cappella Sistina. Appena un mese dopo che l'affresco fu scoperto un relatore scrive al cardinale Gonzaga "non istar bene gli ignudi in simil luogo, che mostrano le cose loro".
L'accusa venne ripresa da molti e divenne particolarmente efficace quando, nel 1545, la fece sua, cinicamente Pietro Aretino, scrittore irreligioso, blasfemo, spesso osceno, ma di grande vigore letterario e indubbia importanza. Da parte dell'Aretino si trattava di una vendetta o di un ricatto, non essendo mai riuscito, a lui critico di'arte temuto, di ottenere gratuitamente da Michelangelo neppure un disegno. Non soltanto, alcuni anni prima quando il pittore aveva già iniziato l'affresco, l'Aretino gli scrisse dandogli consigli sulla composizione e ricevendone in risposta una lettera in cui Michelangelo, dopo aver affermato di non potere ormai portare modifiche alla sua opera, elogia le idee dello scrittore, con una gentilezza che non riesce a nascondere un certa ironia "se 'l dì del giudizio fosse stato, e voi l'aveste veduto in presenzia, le parole vostre non lo figurerebbero meglio".
Data la situazione storica e la cura con cui la chiesa romana tentava di difendersi dalle accuse del paganesimo, gli attacchi degli avversari avevano colpito nel segno.
Il 21 gennaio del 1564, meno di un mese prima della morte del grande artista, al Congregazione del Concilio dispose di far coprire qualsiasi parte "oscena" del Giudizio, incaricando di mettere sulle nudità, dei panni (o braghe) un mediocre pittore, Daniele da Volterra, da allora soprannominato "Monsù braghettoni" o il "Braghettone".
Non i nudi di Michelangelo, ma questa decisione era, oltre che ipocrita, scandalosa; in un'opera d'arte non vi è niente di più e niente di meno, niente che possa essere tolto o aggiunto senza turbare il complesso equilibrio compositivo.
Sebbene deturpato da queste aggiunte, danneggiato dai secoli, annerito dalle candele che ardono sull'altare posto alla base, l'affresco resta una delle opere più monumentali dell'arte italiana; il dramma dell'umanità, quel dramma che si è iniziato con la creazione sulla volta della Sistina, si conclude su questa parete, in quel giorno fatale, quando finita al vita terrena, recuperato il proprio corpo, l'uomo di presenta davanti al suo creatore per essere giudicato.
Così non con la fede sereda del Beato Angelico ma ponendosi piuttosto sulla strada aperta da Luca Signorelli Michelangelo ha concepito il Giudizio Universale.